Quella caldaia non si (bio)digerisce

Nove grammi. È la quantità di PM10 emessa in un’ora da una caldaia a gasolio da 500 kW che lavora a pieno regime. Poco o tanto? Dipende. Lascio a voi valutare.

Per darvi un’idea, 9 g di PM10 vengono emessi, per esempio, da circa 650 g di legna che arde in un caminetto aperto [1]. In pratica, un’abitazione con caminetto rilascia in atmosfera nei mesi invernali in un giorno grossomodo la stessa quantità di PM10 della caldaia di cui sopra. Con una piccola differenza: che il caminetto riscalda al massimo un’abitazione, neanche tanto grande, mentre la caldaia da 500 kW è tarata per un impianto industriale.

Se proviamo ad allargare lo sguardo, scopriamo che nella Valle del Sacco, dove si svolge la disputa di cui vi dirò più avanti, ci sono diverse migliaia di caminetti non filtrati che fumano ogni santo giorno da novembre a marzo, in barba ad ogni allarme smog che viene lanciato da più di dieci anni a questa parte.

Vi do un altro metro di paragone. Sapete quanta PM10 viene emessa da 4 – diconsi quattro – auto diesel che attraversano tutta la Valle del Sacco da Colleferro a Ceprano? Circa 7,7 grammi. Tanto quanto un solo camion pesante [2]. E, sempre per allargare lo sguardo, sapete quanti mezzi transitano in media sull’autostrada A1 nello stesso tratto in un’ora? Circa 2300 [3], di cui almeno il 40% sono diesel. In pratica, per eguagliare la quantità di PM10 emessa dalle sole vetture diesel che transitano in autostrada dal casello di Colleferro a quello di Ceprano in un’ora dobbiamo mettere in fila più o meno 200 caldaie come quella sotto accusa e farle funzionare a pieno regime per lo stesso tempo.

E allora, di cosa stiamo parlando? Di una banale caldaia o di un demone pronto a fare stragi di innocenti con il particolato atmosferico rilasciato dalla combustione? E se proprio vogliamo optare per quest’ultima possibilità, ammesso che quei nove grammi pesino come nove tonnellate, quanti altri demoni dobbiamo censire e combattere ogni minuto che Dio manda in Terra affinché la salute degli abitanti di questa sfortunata terra sia salvaguardata? Possibile che non ci si renda conto che se la coerenza non è un optional, usando lo stesso metro dovremmo rincorrere coi forconi ogni povero cristo che si riscalda davanti a un caminetto e condannare all’ergastolo chiunque accenda fuochi all’aperto?

Naturalmente, il vero obiettivo degli strali lanciati contro il progettato impianto di trattamento della frazione umida dei rifiuti proposto a Frosinone non è la caldaia che dovrebbe alimentarlo, ma l’impianto in sé. Ma se uno degli argomenti più usati per contrastare l’impianto è la caldaia, il già fragile castello di accuse contro il malefico biodigestore crolla miseramente, rivelando la logica aberrante che di questi tempi va per la maggiore, ovvero: prima si postula una tesi precostituita, e poi si cercano gli argomenti per difenderla, a qualunque costo e talvolta anche a sprezzo del ridicolo. Perché il dito puntato contro la caldaia ricorda da vicino il vecchio proverbio “Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”. E così, mentre il dito indica il nulla cosmico, la luna della chiusura virtuosa del ciclo dei rifiuti e della produzione di biometano rinnovabile che va a rimpiazzare il gas fossile climalterante viene tranquillamente ignorata.

Per quanto mi riguarda, se qualcuno che reputo autorevole mi dicesse che la ragione per la quale non è una buona idea installare una centrale nucleare vicino la mia abitazione risiede nella minaccia rappresentata da una caldaia a gasolio nell’impianto, penso che sarei indotto a rivalutare l’opinione negativa che ho sull’energia nucleare. Dunque, mi sento in dovere di mettere in guardia gli esponenti dell’associazione di medici (autorevoli per definizione agli occhi dell’opinione pubblica, tanto da diventare su temi divisivi come questo i consulenti preferiti dai sindaci NIMTO – Not in my terms of office) quando sentenziano che la realizzazione di un impianto di trattamento anaerobico/aerobico dei rifiuti organici è una micidiale minaccia per la salute a causa della caldaia di cui sopra. Perché se i numeri hanno un senso e se non si è perso del tutto il senso della misura, tirare in ballo la caldaia non aiuta affatto la causa, anzi sortisce l’effetto opposto. Ed è un vero peccato, perché la disputa sui biodigestori è stimolante sotto molti aspetti, e non merita di essere svilita da un argomento inconsistente. Ma evidentemente non si è capito che, in un mondo marchiato a fuoco dalla tecnologia e dell’uso che se ne fa, la tenzone “biodigestori sì / biodigestori no” dovrebbe essere combattuta soppesando con criteri scientifici i benefici e i rischi delle diverse opzioni sul campo, sapendo che anche la non-scelta presenta rischi e benefici.

Insomma, cari medici, non deludetemi. Qualcuno meno prudente di me potrebbe fare due più due e pensare di voi: “se per opporsi a un impianto del genere non trovano di meglio che prendersela con la caldaia vuol dire che non hanno capito niente di come funziona l’impianto, oppure che non c’è davvero niente di più serio a cui aggrapparsi”.

Sinceramente, fossi in voi mi vergognerei in entrambi i casi.

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[1] Per un confronto fra le emissioni di particolato atmosferico di diversi sistemi di combustione, si veda ad esempio qui, qui e qui. Le emissioni di PM10 di una caldaia a gasolio e di un caminetto aperto sono state stimate in 5g e 860g per GJ di combustibile, rispettivamente. Il potere calorifico della legna da ardere è compreso fra 3280 e 4360 kcal/kg. Nei calcoli riportati nell’articolo è stato impiegato il valore di 4000 kcal/kg.

[2] Secondo la Banca dati dei fattori di emissione medi del trasporto stradale in Italia (ISPRA, 2019), un’autovettura diesel e un camion pesante (heavy duty truck) emettono rispettivamente in media 36,5 mg e 146 mg di PM10 per km.

[3] Secondo Unioncamere Lazio, il numero di veicoli teorici medi giornalieri nel tratto laziale dell’A1 era pari a 55.545 nel 2005.

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