Il Cosmo, i suoi Gemelli ed io

Gli occhi sbarrati nel cuore di una notte settembrina. L’incipit stampato nella mente. Il buio cosmico della camera da letto ribolle della spiritualità che ha plasmato i miei anni giovanili, senza la quale non sarei quello che sono. Un Dio troppo umano, un po’ filosofo in erba e un po’ scienziato pasticcione, nella Notte dei Tempi imbastisce un esperimento, dubitando forse persino di sé stesso. Due pianeti allo specchio, uguali ma diversi, scaraventati dal destino, o dal caso, o da coscienti volontà, verso due esiti opposti. Continua a leggere

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La buccia della Terra (Epilogo)

Il panorama immobile dominato dal verde scuro dei boschi, appena increspato dalla rifrazione della radiazione solare che cadeva in picchiata dalla sommità del cielo, aiutò Katrin a riflettere in quella torrida giornata di luglio, facendole dimenticare per un po’ gli acciacchi dell’età.

Seduta sulla sua sedia a dondolo di vimini, si stava chiedendo per quale misteriosa ragione in quei settant’anni trascorsi dalla fulminea apparizione della sfera d’argento non era mai stata assalita dal dubbio che le cose potessero andare in maniera diversa da come poi effettivamente andarono. Chi più chi meno, tutti gli abitanti delle due comunità, che col tempo si amalgamarono miracolosamente dando vita ad un raro esempio di melting pot riuscito, dovettero in cuor loro ad un certo punto ammettere che i consigli dispensati quel giorno dall’emissario di Superbrain furono dettati da pragmatico, saggio raziocinio. Ma il dubbio aveva periodicamente roso la mente di ognuno di loro ogni qualvolta si dovettero confrontare con le sempre più frequenti bizzarrie del clima o con la penuria di risorse di vario genere da cui erano di tanto in tanto afflitti. In quei frangenti immancabilmente riaffiorava l’indole predatrice della specie umana, che si sovrappone in maniera inconsapevole e quasi impalpabile all’istinto di sopravvivenza. E allora, di bocca in bocca si propagavano i soliti logori ritornelli che lamentavano l’impossibilità di convivere armoniosamente con una natura che si voleva ad ogni costo ridipingere matrigna. Continua a leggere

La buccia della Terra (Fotoni)

La presenza umana, seppure estremamente contenuta, era quasi d’intralcio ad Anchorage. Le strade della città pullulavano di robot di ogni foggia e dimensione; fra di essi, molti androidi, perlopiù con avvenenti fattezze femminili, dichiaratamente messi lì per rendere l’ambiente urbano più umanizzato e gradevole alla vista.

Grazie alla presenza della gigantesca server farm – alias Superbrain – cresciuta a dismisura nei cento anni precedenti, il capoluogo dell’Alaska era divenuto un centro nevralgico per la civiltà dei Siliron, crocevia delle competenze tecniche ed informatiche più avanzate. Le infrastrutture elettroniche, i server, i cavi, le connessioni e l’infinità di diavolerie che avevano contribuito a creare quel mostruoso cervello che tutto conosceva e tutto (o quasi) poteva, necessitavano di manutenzione continua, possibile solo con sforzi immani e immani risorse. Continua a leggere

La buccia della Terra (Etere)

Per Dolores il jazz era come una droga. Era da quando aveva otto anni che i neuroni della sua corteccia cerebrale si inebriavano delle armoniose dissonanze e dei ritmi incalzanti che nessun altro genere musicale sa offrire. Quando chiudeva gli occhi e con le sue cuffie ascoltava i grandi classici del bebop o gli elaborati riarrangiamenti degli standard più celebri, era come se si tuffasse in un etereo universo parallelo, una sorta di paradiso ante litteram che escludeva tutto e tutti dalla sua sfera sensoriale. Continua a leggere

La buccia della Terra (Acqua)

La fila indiana si snodava sinuosa lungo i tornanti dell’ampio sentiero che conduceva all’altopiano.

«Papà, maledizione, questo sole brucia, altre due ore così e resterò ustionata!» esclamò Katrin ansimando. «Aspettatemi, almeno, perché andate così forte?» soggiunse mentre allungava il passo per cercare di raggiungere i genitori.

«Forza, signorina, siamo quasi arrivati! E smettila di lamentarti, hai dodici anni, e poi, non sei contenta di prendere la tintarella?» la incoraggiò il padre. «Ok, prendi questo, ti proteggerà!», aggiunse poi, lanciandole il suo cappello texano da cowboy. Continua a leggere

La buccia della Terra (Carbonio)

Piantare alberi era un gioco da ragazzi per i robot giardinieri. Come in una catena di montaggio, le unità specializzate eseguivano a ritmo serrato le varie fasi dell’operazione, dallo scavo delle buche alla ricopertura e compattamento del terreno attorno ai virgulti, avanzando con sicurezza sulle loro estremità cingolate. Alle spalle degli automi, il paesaggio brullo e sterile, punteggiato qua e là da sterpaglie rinsecchite, lasciava il posto ad un giovane, rado boschetto che si apprestava a diventare un’ariosa foresta assetata di anidride carbonica. Continua a leggere

La buccia della Terra (Silicio)

Ad Alex piaceva molto provocare EdYrr con domande maliziose o quesiti di impossibile risoluzione. A dispetto dei suoi quindici anni, era un ragazzo molto sveglio; del resto, era figlio di due ingegneri del Massachusetts Institute of Technology, per un verso il top della mente tecnologica umana e per l’altro quanto di più affine potesse esserci con la poderosa intelligenza artificiale dei Siliron. Crescendo in quell’ambiente, era naturale che EdYrr divenisse il migliore amico di Alex, dapprima compagno di giochi – e che giochi! – e poi onnisciente tutor. Continua a leggere

La buccia della Terra (Elettroni)

La prima fabbrica di moduli fotovoltaici interamente automatizzata ed alimentata a sua volta da un vasto parco fotovoltaico posto nelle vicinanze era entrata in esercizio nel deserto dell’Arizona pochi anni prima.

L’automazione, naturalmente, non si limitava alla fase strettamente produttiva come nei vecchi stabilimenti dell’inizio del ventunesimo secolo di cui gli umani andavano orgogliosi, ma si estendeva alla totalità dei settori aziendali, compreso il top management: a intervalli regolari tutti i parametri dei processi in corso venivano inviati a Superbrain, che li analizzava e restituiva prontamente il suo feedback con gli algoritmi per ottimizzare le procedure e le singole fasi di produzione. A quella fabbrica ne seguirono molte altre sparse per il Nordamerica, l’Europa e la Cina, tutte ugualmente efficienti e tecnologicamente perfette. Continua a leggere

La buccia della Terra (Ferro)

Alle prime luci dell’alba, migliaia di automi invasero le strade di Detroit pattinando sicuri sulle loro rotelle basculanti. Incuranti del paesaggio post-apocalittico che si spalancava dinanzi ai loro occhi laser, i robot si diressero speditamente verso il luogo di raccolta. Da quando i suoi abitanti umani erano fuggiti via in cerca di cibo e risorse, la città deserta era avvolta dal silenzio, rotto di tanto in tanto dal cigolio degli infissi arrugginiti sbattuti dal vento, dallo squittire di roditori affamati o dal miagolio sinistro di gatti rinselvatichiti dall’aspetto spettrale. Ad un osservatore immaginario, l’ingresso dei robot in città avrebbe potuto richiamare alla mente le truppe trionfatrici di guerre passate nell’atto di prendere simbolicamente possesso di un centro nevralgico del territorio conteso. Ma non c’erano bandiere sventolanti né grida di giubilo ad attendere i robot quella mattina, e la quiete surreale dominante era solo leggermente scalfita da quella inedita invasione. Continua a leggere

La buccia della Terra (Prologo)

“Da qui, messere, si domina la valle

ciò che si vede, è.

Ma se l’imago è scarna al vostro occhio

scendiamo a rimirarla da più in basso

e planeremo in un galoppo alato

entro il cratere ove gorgoglia il tempo”

In volo, Banco del Mutuo Soccorso

Se è vero che tutto ciò che si vede, e quindi è, è già stato detto, scritto e raccontato, tanto vale avventurarsi nelle terre ancora non del tutto esplorate del non è, o del non è ancora, o finanche del non sarà mai. Perché anche se alcune tessere del puzzle del futuro possono già essere facilmente incasellate, l’immagine femminea che apparirà quando il sarà potrà essere declinato al presente e il tempo cesserà di gorgogliare è oggi irrimediabilmente scarna, se non del tutto indecifrabile.

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