Il grande iato

Sapere e accantonare. Apprendere e restare passivi. Relegare il problema negli anfratti dell’io pur avendolo compreso. Rimuovere ad ogni costo ciò a cui non si può credere. Erigere inespugnabili fortini neuronali contro le aggressioni di scomode verità. Aggrapparsi alle menzogne di comodo sparse a piene mani dai frenatori di ogni risma.

Sono innumerevoli, benché non prive di analogie, le modalità con le quali si estrinseca l’immobilismo di una vasta maggioranza delle persone nonostante gli ormai inconfutabili allarmi sull’emergenza climatica planetaria. È tutto noto, ormai, tutto è stato già detto e scritto, ma oggi si deve prendere atto che sapere non basta. La coscienza non è scalfita, resta impermeabile, se non repellente. La rabbia non prorompe, l’angoscia non divampa, i cuori non vibrano, ma appaiono piuttosto anestetizzati, necrotizzati dall’inerzia.

Fino a pochi anni fa, nell’era pre-Greta, il dito di quella bolla di individui di cui faccio parte, etichettata con un termine, ambientalisti, che suona talvolta quasi discriminatorio, era puntato contro il potere politico e i giornalisti asserviti al sistema, dediti a un blablabla incentrato sulle antiche priorità da dare in pasto al popolo bue. Per sottovalutazione, inconsapevolezza, ignoranza o complicità, costoro oscuravano le nuove emergenze nate da una guerra dichiarata alla stabilità della biosfera che nasce da lontano. È in quel contesto che è nato questo blog, con un chiaro intento divulgativo.

Ma cosa resta ancora di essenziale da divulgare oggi, quando ciò che sarebbe dovuto accadere in un remoto futuro si dispiega inesorabile nel presente in ogni angolo del globo? Quale omertà resta da abbattere quando l’emergenza e l’urgenza di agire vengono apertamente riconosciute dai leader mondiali e raccontate nelle headlines dei media?

E dunque, ciononostante, cosa rende ancora così forti i frenatori della transizione ecologica, camuffati nei loro nuovi, inconcludenti blablabla giustamente denunciati da Greta?

La sensazione è che la risposta a questa domanda vada cercata nel consenso, o meglio nell’assenza generalizzata di dissenso nei confronti di chi rema contro il cambiamento, da parte di una vasta zona grigia del tessuto sociale che anziché diradarsi sulla spinta delle nuove, micidiali priorità dettate dalla crisi ecologica, si va espandendo a macchia d’olio. Un corpaccione amebico variegato ma accomunato da un’ostilità quasi ideologica verso la classe dirigente e un malcelato fastidio verso gli intellettuali, disilluso da tutti e da tutto e al tempo stesso pigro, incapace di essere destato da una sveglia che mai come oggi suona così minacciosa. L’ultimo segnale che indica un’espansione preoccupante di questi pensatori di pancia, dormienti per scelta o per vocazione, è stato l’aumento senza precedenti di coloro che hanno scelto di non andare a votare alle ultime elezioni amministrative.

Questa marea di individui è ovunque, ne sento il respiro, l’ingombrante e opprimente presenza in ogni momento della mia vita. Essa si amplia fino a tracimare man mano che ci si muove dal centro alla periferia, a tutti i livelli. È una mappa devastante in un momento in cui è proprio dalle periferie, dai territori depredati e sfigurati da decenni di sviluppo scriteriato, che dovrebbe partire la spinta verso una trasformazione profonda dell’economia e degli stili di vita, mai come oggi desiderabile quanto indispensabile. Si dirà che la storia abbonda di vandee che remano contro, di regioni e strati sociali marginali, abituati da sempre a subire il cambiamento anziché diventarne i protagonisti. Ma la storia ci racconta anche che le vandee del passato non disponevano degli strumenti, primi fra tutti l’istruzione diffusa e l’accesso all’informazione, che hanno i nostri contemporanei. Per questo, per quanto mi sforzi, non riesco a farmi una ragione di come si possa restare indifferenti e ostinatamente avvinghiati all’inamovibilità di fronte alla prospettiva di un’eventualità agghiacciante e distopicamente insuperabile come quella dell’estinzione della nostra specie.

Un fatto però è certo: questa maggioranza silenziosa e indolente, che non parteciperà mai a un corteo, non smetterà mai di mangiare carne tutti i santi giorni, non rinuncerà mai a muoversi col suo Suv rombante o a prendere l’aereo se e quando può, è oggi l’alleato più formidabile delle élite sorde al destino del pianeta, la cui supremazia è minacciata dalla prospettiva ormai ineludibile di un repentino abbandono delle fonti fossili. Costoro del resto lo sanno bene; per essi è un gioco da ragazzi orchestrare campagne mediatiche che gettano discredito sulle energie rinnovabili o che paventano bagni di sangue come conseguenza della transizione ecologica. Non c’è niente di più facile in un mondo in cui le fake news amplificate ad arte dai social hanno lo stesso diritto di cittadinanza delle verità della scienza.

Come una faglia tettonica che divide e allontana i continenti, c’è un grande iato che divarica due mondi sempre più distanti, quello ancora troppo contenuto della consapevolezza che muove all’azione e quello a cui rimbalza ogni allarme, che imperterrito pensa ed agisce etsi natura non daretur. Alla faccia del villaggio globale, questi due mondi non si parlano, né del resto possono farlo, perché anche il vocabolario diverge: termini come sostenibilità o decarbonizzazione, espressioni come crisi climatica, prefissi come eco-, se da una parte abbondano come non mai, suonando talvolta perfino stridenti nel loro abuso (si pensi al significato espanso che ha assunto oggi la parola ecosistema), dall’altra sono ostinatamente del tutto assenti, in special modo nella lingua parlata, nei commenti sgrammaticati sui social o peggio nei colloqui da bar intrisi di banalità e luoghi comuni.

Si è tentato di tutto per destare l’attenzione sulle emergenze ambientali globali, per comunicarne in modo semplice le cause e gli effetti, ma niente: non è servito addolcire il pur necessario rigore scientifico, non hanno fatto presa i sit-in, i flashmob, le urla rabbiose della generazione-Greta, la sottolineatura dei benefici addizionali di uno sviluppo a emissioni zero o dell’indipendenza energetica garantita dalle nuove rinnovabili. Semplicemente non ci sentono, quelli dell’altro mondo, e quando provano timidamente a farlo vengono subito ricacciati indietro nelle loro indiscusse quanto barcollanti certezze grazie al pronto intervento dei mestatori nel torbido di professione, abilissimi nel lanciare ami a cui abboccare, sempre nel posto giusto al momento giusto.

Il grande iato qui descritto, per giunta, si somma a quello tutto italico che separa i proclami dalle azioni, che dissemina la strada di paletti e affolla di untuosa burocrazia la distanza fra parole e fatti. Ma mentre questo iato può essere colmato, almeno in teoria, dalla buona politica e dall’esercizio democratico, quello ci fa sentire impotenti, avviliti, perennemente incompresi, specie se il sogno di un pianeta in armonia con i suoi abitanti (la Serra della mia climate fiction di qualche anno fa) assorbe l’esistenza in modo quasi totalizzante.

E allora, che fare? Onestamente, non lo so. Indurre le masse ad uscire dagli schemi del qui ed ora è un esercizio inedito che cozza contro il retaggio evoluzionistico di una specie che per gran parte della sua storia ha dovuto difendersi da minacce immediate e procurarsi il cibo giorno dopo giorno.

So però ciò che non possiamo permetterci di fare: arrenderci. Personalmente avverto che, se le cose volgessero al peggio, non potrei mai perdonarmi di non aver gettato abbastanza ponti verso coloro che, come me e come tutti, vagano a tentoni sulle strade del mondo.

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3 pensieri su “Il grande iato

  1. Allora, che fare?

    Vivere attimi come se fossero momenti
    momenti come se fossero ore ed ore
    ore come se trascorressero dei giorni
    giorni lunghi come durare di stagioni
    stagioni indistinguibili da ere antiche
    chè sebbene eoni ed eoni sono trapassati
    non fu invano altrimenti neanche a noi
    d’essi oggi ce ne importerebbe.

    Un saluto, Marco.

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      • Per quanto uno voglia vedere serenamente e positivamente la situazione generale, o meglio, planetaria,
        anche questo raduno internazionale romano mi pare che abbia prodotto più imbottitura che tessuto.
        (volevo dire più fuffa che sostanza).
        Detto altrimenti: Più promesse da tossico-dipendente, la cui sostanza psicotropa è il Potere.
        “Dai, dammi ancora una dose, ma guarda che io smetto quando voglio” Volere è potere, appunto.
        Vedremo che cosa produrrà Glasgow Cop 26.
        Se sarà solo un Glow-gas (Glow = incandescenza).
        O Gas Glow, fa lo stesso.

        Quarant’anni suonati separano questi due testi:

        Lucio Dalla

        L’Anno Che Verrà

        Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po’
        e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò.
        Da quando sei partito c’è una grossa novità,
        l’anno vecchio è finito ormai
        ma qualcosa ancora qui non va.

        Si esce poco la sera compreso quando è festa
        e c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra,
        e si sta senza parlare per intere settimane,
        e a quelli che hanno niente da dire
        del tempo ne rimane.

        Ma la televisione ha detto che il nuovo anno
        porterà una trasformazione
        e tutti quanti stiamo già aspettando
        sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno,
        ogni Cristo scenderà dalla croce
        anche gli uccelli faranno ritorno.

        Ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno,
        anche i muti potranno parlare
        mentre i sordi già lo fanno.

        E si farà l’amore ognuno come gli va,
        anche i preti potranno sposarsi
        ma soltanto a una certa età,
        e senza grandi disturbi qualcuno sparirà,
        saranno forse i troppo furbi
        e i cretini di ogni età.
        Vedi caro amico cosa ti scrivo e ti dico
        e come sono contento
        di essere qui in questo momento,
        vedi, vedi, vedi, vedi,
        vedi caro amico cosa si deve inventare
        per poterci ridere sopra,
        per continuare a sperare.

        E se quest’anno poi passasse in un istante,
        vedi amico mio
        come diventa importante
        che in questo istante ci sia anch’io.

        L’anno che sta arrivando tra un anno passerà
        io mi sto preparando è questa la novità.

        Willie Peyote (Guglielmo Bruno)

        Mai dire mai (la locura)

        Questa è l’Italia del futuro
        Un paese di musichette mentre fuori c’è la morte
        Ora che sanno che questo è il trend, tutti ‘sti rapper c’hanno la band
        Anche quando parlano, l’autotune, tutti in costume come gli X-Men
        Gridi allo scandalo, sembrano Marilyn Manson nel 2020
        Nuovi punk, vecchi adolescenti, tingo i capelli e sto al passo coi tempi
        C’è il coatto che parla alla pancia, ma l’intellettuale è più snob
        In base al tuo pubblico scegliti un bel personaggio, l’Italia è una grande sitcom
        ‘Sta roba che cinque anni fa era già vecchia, ora sembra avanguardia e la chiamano It-pop
        Le major ti fanno un contratto se azzecchi il balletto e fai boom su TikTok
        Siamo giovani affamati, siamo schiavi dell’hype
        Non si vendono più i dischi, tanto c’è Spotify
        Riapriamo gli stadi, ma non teatri né live
        Magari faccio due palleggi, mai dire mai
        Siamo giovani affermati, siamo schiavi dell’hype
        Non ti servono i programmi se il consenso ce l’hai
        Riapriamo gli stadi, ma non teatri né live
        Magari faccio due palleggi, mai dire mai
        Mai dire mai, mai dire mai
        Mai dire, mai dire, mai dire, mai dire mai
        Ora che sanno che questo è il trend, tutti che vendono il culo a un brand
        Tutti ‘sti bomber non fanno goal, ma tanto ora conta se fanno il cash
        Pompano il trash in nome del LOL e poi vi stupite degli exit poll?
        Vince la merda se a forza di ridere riesce a sembrare credibile
        Cosa ci vuole a decidere: “Tutta ‘sta roba c’ha rotto i coglioni?”
        Questi piazzisti, impostori e cialtroni, a me fanno schifo, ‘sti cazzi i milioni
        “Le brutte intenzioni” che succede? Mi sono sbagliato
        Non ho capito in che modo twerkare, vuol dire lottare contro il patriarcato
        Siamo giovani affamati, siamo schiavi dell’hype
        Non si vendono più i dischi, tanto c’è Spotify
        Riapriamo gli stadi, ma non teatri né live
        Magari faccio due palleggi, mai dire mai
        Siamo giovani affermati, siamo schiavi dell’hype
        Non ti servono i programmi se il consenso ce l’hai
        Riapriamo gli stadi, ma non teatri né live
        Magari faccio due palleggi, mai dire mai
        Non so se mi piego, non so se mi spezzo
        (Mai dire mai) Non so se mi spiego, dipende dal prezzo
        (Mai dire mai) Lo chiami futuro, ma è solo progresso
        (Mai dire mai) Sembra il Medioevo, più smart e più fashion
        (Mai dire mai) Se è vero che il fine giustifica il mezzo
        (Mai dire mai) Non dico il buongusto, ma almeno il buonsenso
        (Mai dire mai) Ho visto di meglio, ho fatto di peggio, ecco
        (Mai dire mai) Tu di’ un’altra palla, se riesco palleggio
        Siamo giovani affamati, siamo schiavi dell’hype
        Non si vendono più i dischi, tanto c’è Spotify
        Riapriamo gli stadi, ma non teatri né live
        Magari faccio due palleggi, mai dire mai
        Siamo giovani affermati, siamo schiavi dell’hype
        Non ti servono i programmi se il consenso ce l’hai
        Riapriamo gli stadi, ma non teatri né live
        Magari faccio due palleggi, mai dire mai
        Mai dire mai, mai dire mai
        Mai dire, mai dire, mai dire, mai dire mai
        Mai dire mai, mai dire mai
        Mai dire, mai dire, mai dire, mai dire mai.

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