I mass media tendono naturalmente a semplificare la narrazione di fenomeni complessi, talvolta sino alla banalizzazione. Semplificare è utile quando si riesce a convogliare l’attenzione del pubblico verso la corretta analisi di un problema senza stravolgere i fatti e la loro interpretazione. Quando però si omettono, più o meno volutamente, elementi centrali nella comprensione del fenomeno, si deve parlare di disinformazione, senza se e senza ma.
E’ questo il caso del dibattito politico a proposito delle tragedie dei barconi nel Mediterraneo e delle micidiali spinte migratorie che ne sono la causa. Già il fatto che la questione sia incentrata principalmente sul se e in che misura l’Italia e l’Europa debbano accogliere o respingere i migranti, anziché sulle motivazioni che spingono migliaia di disperati ad intraprendere viaggi troppo spesso senza ritorno, la dice lunga sull’egocentrismo e sul provincialismo di cui è cronicamente affetta la nostra Italietta. Ma anche quando ci si spinge ad approfondire le cause del flusso migratorio in atto, raramente si fa cenno dell’impatto che i cambiamenti climatici stanno già ora avendo sul continente africano e sul Medio Oriente, impatto, va da sé, destinato inesorabilmente a crescere nei prossimi decenni.
Non è una novità, ma evidentemente giova ricordarlo: il riscaldamento globale significa aumento della desertificazione (non è un caso che l’Africa sub-sahariana sia fra le aree del pianeta più povere al mondo), siccità, ondate di calore, salinizzazione delle aree costiere (si pensi solo a quante persone vivono nelle aree del delta del Nilo e del Niger), inondazioni, eventi metereologici estremi. Se a tutto ciò aggiungiamo i danni ambientali prodotti dallo sfruttamento delle risorse naturali da parte dell’economia del mondo ricco (non dimentichiamo cosa hanno fatto in anni recenti le compagnie petrolifere in Nigeria…), ne viene fuori un quadro in cui la penuria alimentare e la scarsità di acqua, insieme ai violenti conflitti che ne derivano, non danno scampo a milioni di esseri umani, pronti a tutto pur di scappare dalla miseria che li attanaglia.
C’è dunque chi altera il clima (il mondo ricco) e chi ne subisce per primo le nefaste conseguenze (i popoli africani e il sud del mondo in genere); ma allora che diritto abbiamo di erigere barriere per impedire che chi è stato affamato dalla nostra opulenza cerchi scampo da noi?
PS: Per chi volesse approfondire gli effetti specifici dei cambiamenti climatici sull’Africa, suggerisco la consultazione del report dell’UNESCO ripreso dalla campagna Connect4Climate. Grazie a Limes (lodevole eccezione nel panorama dei mezzi d’informazione in Italia) per gli spunti forniti per questo post.