Viva l’Italia dei borghi, delle piccole comunità integrate con la campagna circostante, solidali e resilienti. L’Italia dei paesi dove la memoria storica è ancora radicata nella collettività ed è guida saggia per le generazioni di oggi, dove grazie a Internet e alla TV satellitare non si è più isolati dal mondo e condannati all’ignoranza, ma si può beneficiare del telelavoro e avviare attività imprenditoriali innovative e sostenibili.Dove l’energia di sole e vento, diffusa e discreta, indipendente da poteri lontani e autoritari, può garantire benessere ed autosufficienza.
In questa Italia dove regna la bellezza, il respiro delle donne e degli uomini è tutt’uno con il respiro dei campi e dei boschi, l’olfatto è inebriato dai profumi della natura e la vista, non oppressa da orridi manufatti in cemento, può spaziare su panorami lontani liberando la mente e l’anima. Per non parlare del silenzio, impagabile, che solo i luoghi con scarsa densità abitativa e assenza di frenesia produttivista possono dare. Per inciso: quanta arte meravigliosa potrebbe ancora scaturire dalla creatività umana se solo ci si lasciasse avvolgere dalle sensazioni profonde che solo l’immersione nella natura può dare!
Questi luoghi dell’Italia profonda e antica certo non si addicono a chi brama gli eccessi o i piaceri esotici, ma sono e saranno di gran lunga preferibili alle metropoli per la minore vulnerabilità a shock esterni di varia natura e per la possibilità che offrono di mitigare gli effetti nefasti degli stravolgimenti climatici che stiamo già sperimentando e che inevitabilmente si intensificheranno nel prossimo futuro. Ondate di calore più sopportabili, precipitazioni anche violente meglio drenate da un terreno ancora in larga parte non cementificato, dissesto idrogeologico limitato dalla sapiente manutenzione del territorio, possibilità di sperimentare soluzioni abitative gradevoli ed energeticamente efficienti sfruttando i principi dell’architettura bioclimatica: tutto questo e molto altro potranno offrire le migliaia di borghi collinari e montani sparsi per l’Italia ad una popolazione urbana largamente impreparata a gestire l’emergenza climatica. È facile prevedere dunque che la migrazione di massa dalle zone rurali alle città, in atto ininterrottamente dal dopoguerra fino ad oggi, si arresterà e prenderà presto il percorso inverso, sotto la spinta della crescente deindustrializzazione e dalla crisi sempre più palpabile dei modelli di agricoltura e allevamento intensivi non più sostenibili.
L’economia circolare senza produzione di rifiuti, così maledettamente complicata da attuare in una civiltà globalizzata, potrà realmente vedere la luce in un contesto in cui non solo il cibo, ma tutta una serie di beni e servizi saranno “a km zero”.
Nel frattempo, bisogna però arrestare con politiche idonee lo spopolamento dei borghi laddove è ancora in atto (specialmente al Sud), prima che il degrado e l’abbandono condannino questi luoghi all’oblio e prima che la sapienza contadina delle vecchie generazioni vada perduta.
Perché fra gli opposti estremi dell’ormai insopportabile alienazione metropolitana e la follia dell’eremitaggio stile “Into the wild”, da cui più di qualche giovane disperato è attratto, la terza via dei piccoli centri, specie nell’Italia resa grande dai Comuni, appare essere una concreta speranza di futuro.