Bye bye brum brum

Quel giorno di ottobre del 2024 nel quale la World Climate Authority (WCA) diede inizio alla sua prima seduta plenaria ad oltranza negli uffici del Segretariato dell’ex IPCC a Ginevra, una cappa densa e opprimente avvolgeva l’aria, mentre i miasmi fetidi che emanavano dalle sponde del Lago Lemano ormai anossico – il cui livello era sceso di due metri rispetto alla media degli ultimi 50 anni – spalmavano una spessa coltre nauseabonda sulla città. La penuria di energia idroelettrica causata dalla prolungata siccità aveva finanche costretto le autorità ginevrine a spegnere il celebre Jet d’eau, simbolo della città svizzera.

Nei due anni precedenti, la sequenza di avvenimenti nella politica internazionale aveva subito un’accelerazione pari a quella con cui stava mutando il clima del pianeta. Dopo l’estate 2022, la prima in cui l’Oceano Artico era divenuto completamente privo di ghiacci, erano seguiti due inverni incredibilmente miti a tal punto che, fra lo sbigottimento degli scienziati, l’estensione e lo spessore del ghiaccio riformatosi nella calotta polare furono ridotti ai minimi termini, fino a che la fragile coltre ghiacciata non resistette alle temperature della primavera 2024, che aveva tutte le sembianze di un’estate. Continua a leggere

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Se la cultura va sott’acqua

Sono reduce dalla lettura di Qualcosa, là fuori, l’ultimo bellissimo romanzo di Bruno Arpaia che narra di una drammatica migrazione, intorno al 2085, di una massa di disperati verso la Scandinavia con una lunga marcia attraverso un’Europa devastata dai cambiamenti climatici. Il libro inoltre ripercorre la vita del protagonista prefigurando il progressivo deteriorarsi delle condizioni di vita nella quasi totalità del mondo civilizzato lungo l’arco di questo secolo. Uno dei passi più significativi del romanzo descrive vividamente l’impressionante degrado in cui si immagina sia piombata Napoli intorno alla metà del secolo: una città resa invivibile dal caldo, con i prezzi di cibo e acqua alle stelle, in cui regnano l’analfabetismo e il caos, sconvolta quotidianamente da scontri fra gruppi di integralisti cristiani e musulmani, nella quale il Comune allo sbando si trova costretto a vendere la celeberrima statua del Cristo Velato al Museo Nazionale di Nuuk, in Groenlandia.

Ho ripensato a questo episodio, quanto mai verosimile benché frutto unicamente della fervida fantasia dell’autore, leggendo le cronache di questi giorni sulla piena della Senna a Parigi e sulla decisione delle autorità di chiudere il Louvre e mettere al sicuro in via precauzionale le opere d’arte a rischio di inondazione. Continua a leggere