Se cercavamo un grimaldello che ci schiudesse un mondo nuovo, un’alternativa desiderabile che i nostri sensi potessero assaporare e che anzi li facesse ridestare da un lungo letargo, beh, ora si è palesata. Chiara come l’acqua dei canali di Venezia, tersa come l’aria che di notte ci fa apparire Venere brillante come non l’avevamo mai visto, leggiadra come un giovane cervo che attraversa placido le strade deserte di una grande città. Si è manifestata così l’evidenza che una vita che dia sollievo all’anima è possibile, e ci si para davanti allo specchio, sfidandoci con risoluta dolcezza a ricominciare come prima, se ne saremo capaci.
Semmai ritorneremo alla normalità, saremo tormentati da un conflitto interiore mai sperimentato prima, nel quale l’iniziale gioia di poter riabbracciare i nostri amati simili sarà subito offuscata dalla inquietante consapevolezza che l’armonia con il resto del creato di cui siamo tutti alla disperata anche se inconsapevole ricerca non è un sogno nostalgico né una romantica chimera, perché è stata respirata, udita, toccata con mano nei lunghi giorni di quarantena. In questo ci hanno aiutato le immagini e i video visti in tv o sui social, è vero, ma lo stupore che si è impadronito di noi di fronte alla straordinaria novità di una natura onnipresente, rigenerata e rigenerante, è stato autentico quanto l’esperienza diretta, perché ha toccato corde profonde.
Guardando indietro, riusciremo mai ad ammettere di aver deragliato? Saremo mai capaci di riscrivere la storia degli ultimi decenni mettendo all’indice i tanti pestiferi artefici dello stupro degli ecosistemi e del conseguente dilagare di virus? E ora, avremo il coraggio di resistere alle sirene che ci invitano suadenti, armate di fresca liquidità, a ripercorrere le solite vecchie strade incatramate di petrolio e di ingiustizia?
Si è detto e scritto in questi giorni all’interno del variegato arcipelago ecologista o pseudo tale, forse per prevenire reazioni di istintivo rigetto da parte dei tanti ambientalisti della domenica, che non è questa la transizione ecologica che avremmo voluto, o perlomeno non a questo prezzo. Eppure, neanche il più verde dei governi avrebbe mai potuto democraticamente attuare in così breve tempo la drastica riduzione dell’impatto umano sul pianeta che ci ha regalato il coronavirus. Neanche il più lungimirante dei consessi internazionali sarebbe stato in grado di contenere le emissioni globali di gas serra in questa misura così repentinamente. Se questo è vero, c’è una lezione da apprendere da questa crisi: per invertire davvero la rotta, quasi sempre è necessario uno shock. Non c’è niente di nuovo in questo, ma il fatto è che siamo stati drogati da settant’anni di relativa quiete, con pochi scossoni localizzati, mai globali; abbiamo camminato per tutta la vita dirigendoci spediti verso un burrone, per poi percorrerne pericolosamente il ciglio senza mai guardare giù, continuando a vagheggiare improbabili graduali quanto spontanee conversioni collettive alla sostenibilità ambientale. Ci sembrava l’unica strada praticabile, ma siamo stati ingannati. Peraltro, ogni ipotetico shock paventato dalle immancabili cassandre veniva regolarmente minimizzato, esorcizzato, per non disturbare gli oscuri manovratori dei nostri muscoli e delle nostre menti. Dunque, nessuno ci ha insegnato a prepararci al peggio, a reagire con le armi della duttilità e della creatività, a venir fuori in maniera non stereotipata da questa inattesa paralisi, per questo il coronavirus ci ha messo al tappeto.
Naturalmente, ogni shock ha un prezzo: quello che siamo pagando ora, con il sacrificio di molte vite umane, ci appare inaccettabile, ma credo che col senno di poi, con la compassione sempre dovuta a chi non ce l’ha fatta, sapremo misurarlo con maggior obiettività. Se non ci riusciremo noi, sarà la bilancia della storia a confrontare costi e benefici, a soppesare con rigore lutti patiti e lutti evitati.
C’è una marea che sale in questi giorni, fonte di trepidazione e autentica speranza: quella delle tante voci autorevoli che si sono levate supplicando la politica di cogliere le opportunità e le inattese ricadute positive dell’esperienza in atto per ripartire su basi nuove, ispirate da un umanesimo improntato alla sobrietà e alla solidarietà, consapevole dei limiti che derivano dalla finitezza del nostro mondo, delle sue risorse e della sua capacità di mantenere un’omeostasi tanto preziosa quanto fragile. Queste voci aggiungono alla forza della ragione e all’autorevolezza della scienza un’energia collettiva dirompente, che nasce dall’aver sperimentato con tutti i nostri sensi forse la… prima vera primavera.
E se neanche i cinque sensi bastano a persuaderci, chiudiamo gli occhi e sogniamolo il mondo nuovo a cui aneliamo: io l’ho fatto, e vi assicuro che è così meraviglioso da non volersene mai staccare.
E allora, a chi vorrebbe semplicemente riavvolgere il nastro del tempo per farci ascoltare il solito refrain, rispondiamo “no, grazie”. Perché ciò di cui abbiamo bisogno è provare. Provare ad inventare, a sperimentare, a ritrovarci, a reimparare. Provare a rialzarsi dopo una caduta. Provare per credere, anzi, provare per vivere!
C’e’ da sperare che lo schock sia tale da provocare in molti di noi questa reazione, una reazione che era gia’ emersa in maniera diffusa a causa della stupida e ossessiva rincorsa del mostruoso insostenibile. E dall’obbrobrio dell’accettazione passiva di grandi masse di un inter ingiustificabile. Ho terminato da poco la lettura di un libro illuminante – Il pianeta mangiato, di M. Balbo – che documenta, spiegandola bene, l’attualità in cui viviamo: da far rizzare i capelli. Chiudi il libro e ti viene lo sconforto. Poi é accaduto il corona-caos, come lo chiamo io, e mi sono chiesta se questo non potesse essere l’unico modo per interrompere tutto quello. É una occasione, e va subito sfruttata. Nonostante la tragedia, nonostante le vittime presenti e future, nonostante molte persone non abbiano più gli strumenti economici su cui poter contare, nonostante questa immane tragedia dai risvolti tristi, brutti, e a volte davvero molto inquietanti, una luce sembra essere proprio lì davanti a noi, e sembra dici che dobbiamo agire, e farlo velocemente in maniera diversa. Anche se sembra che il nostro governo non abbia ancora percepito quell’imput. Deve essere proprio una questione culturale, come sostiene chi rievoca- negli scritti on line di una certa serietà- la teoria della mentalità del ghetto…
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Rileggendo questo post oggi direi proprio che l’opportunità presentataci non è stata colta. Anzi, la tendenza generale è quella della rimozione dello shock subito e la voglia di restaurazione è il sentimento piu diffuso.
Il governo pensa a come rilanciare i consumi -ancora incentivi per le auto? – ad una platea mai sazia di consumi.
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