Ci si poteva aspettare uno tsunami, l’impatto di un asteroide, un sisma fuori scala Richter, un’invasione aliena, un’esplosione nucleare, insomma qualcosa di dimensioni titaniche, mediaticamente appariscente, degna di un disaster movie holliwoodiano. Oppure, per chi come me si ciba del terrore dell’attesa di catastrofi assortite innescate da sconvolgimenti ambientali e climatici già palpabili, poteva capitarci qui e ora una siccità epocale, un’alluvione devastante o un incendio inestinguibile. Eventi questi ultimi, peraltro, che sono accaduti, accadono ed accadranno sempre più spesso di volta in volta in qualche parte del mondo ma che, per un motivo o per l’altro, hanno finora per lo più solo sfiorato le vite della parte ricca del mondo senza affondare davvero il bisturi nella carne viva.
E invece, la Natura stavolta ha voluto stupirci senza effetti speciali, ha deciso di spiattellarci l’evidenza dell’insostenibilità del dominio umano sugli ecosistemi inscenando la rivincita del più piccolo e insignificante degli esseri, qualcosa che, nientemeno, si colloca al confine fra vita e non-vita: un mucchietto di acidi nucleici, abilmente celati come in un cavallo di Troia all’interno di un innocuo involucro proteico, la cui missione è apparentemente solo quella di prosperare e moltiplicarsi ingannando le cellule ospiti.
Lo spettacolo, tutt’altro che inedito nella storia umana, non eccita i nostri sensi adusi alla spettacolarità, ma cionondimeno non poteva essere più sorprendente: una lotta senza quartiere ricca di colpi di scena fra l’Uomo ipertecnologico solidamente insediato – verrebbe da dire incoronato – al vertice dell’evoluzione e un coronavirus emerso all’improvviso dalla innaturale, affollata mescolanza fra specie selvatiche, specie addomesticate e umani. Un avversario ostico e resiliente, figlio, a sentire la scienza, della sovrappopolazione, della deforestazione e dell’invasione senza fine di habitat altrui operata dall’Uomo.
Chi dei due avrà la meglio, lo vedremo. Per ora non possiamo che mostrarci interdetti, quasi inebetiti, constatando con quanto affanno il Grande Incoronato che si fregia dell’appellativo di sapiens tenti di annientare l’invisibile eppur intelligentissima creaturina dal nome altezzoso che sembra voler gettare un guanto di sfida ad armi pari – CoronaVirus vs. CoronaUomo – al più temibile dei suoi avversari.
Non mancano certo gli strumenti né i saperi all’Incoronato sapiens per vincere la tenzone. Ma mai come ora la sua debolezza si manifesta non nel non sapere o nel non saper fare, quanto piuttosto nell’impossibilità di muoversi ed agire senza lasciare in giro troppi cocci, come un ingombrante elefante nella cristalleria. Sta qui tutta la nostra fragilità: se difendere il bene primario della salute equivale a mettere a repentaglio l’economia e innescare una pesante recessione, evidentemente siamo in trappola, ingabbiati in un’inestricabile, soffocante ragnatela globalizzata che tuttavia ci si ostina a difendere con le unghie e con i denti nonostante sia ormai stato messo a nudo il problema dei problemi, la madre di tutte le crisi, ovvero l’aver oltrepassato il limite oltre il quale non può esserci che un continuo scivolamento verso il peggio.
Dunque, chapeau alla Natura! Grazie al coronavirus la nostra Madre Terra e la Storia si sono riprese la scena troppo spesso fin qui oscurata dalle meschinità delle classi dirigenti e dall’ottusa accondiscendenza del popolo bue spinto a consumare e a consumarsi nella rincorsa di modelli ormai putrescenti.
E così, ci ritroviamo in questi giorni in un limbo, sospesi fra la speranza di un ritorno ad una soporifera e al tempo stesso iperattiva normalità (in attesa della prossima crisi) e l’eventualità di uno smottamento verso il caos e il ‘si salvi chi può’. Eppure, fermarsi per un po’, toccare con mano la nostra vulnerabilità non può che far bene: ci aiuta a ridefinire le scale di priorità, a rivolgere di nuovo gli sguardi verso la prossimità, a godere della bellezza a portata di occhi, a rifuggire dalle manie di grandezza, a sconfiggere il demone dell’individualismo, a ribellarci contro l’assolutismo criminale dello shareholder value.
Il coronavirus fa male, certo, e tutti preghiamo che non si incattivisca, ma in qualche modo una sua diffusione contenuta potrebbe allontanare le crisi future, o renderle, è proprio il caso di dire, meno virulente. Perché se i mercati finanziari soffrono, le supply chain si ingrippano, i voli aerei si fermano, le navi da crociera attraccano, gli spostamenti si diradano, inevitabilmente le emissioni di gas serra si ridurranno, donandoci forse un po’ più di tempo per affrontare la crisi climatica, oltre che per ripensare noi stessi. Se il telelavoro e l’e-learning prenderanno stabilmente piede, ne beneficerà la qualità dell’aria nelle città, sanificando i nostri polmoni che impareranno magari a difendersi da soli dall’assalto dei virus prossimi venturi. Ma soprattutto, se l’establishment mondiale viene messo con le spalle al muro lasciando che l’ossessione della crescita evapori, forse riusciremo a riavvicinare la primitiva aspirazione alla felicità con i valori fondanti dell’etica e della solidarietà.
E allora, calma e gesso, non lasciamo che la paura diventi (corona)virale. Non sprechiamo questa preziosa opportunità: chi può usi il tempo liberato e l’isolamento forzato per spezzare le catene di una routine alienante e immobilizzante, per spalancare nuovi orizzonti, per gettare i semi di un’umanità rinnovata e resiliente almeno quanto il coronavirus.
Ottimo, Bravo.
Ciao
giovanni
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Uno dei tuoi talenti
l’hai estorto alla rugiada
un altro dal pappo del tarassaco
e poi dal mandorlo selvatico
non puoi negarlo tu che sfrutti
umidi lapilli per spostarti
e con la stessa disinvolta mossa
alla cellula aggrappi i tuoi artigli
per stringere letalmente il fiato
come il seme fa dell’albero leggiadro
ladro sei furfante a piede libero
chi ti è mandante Alì Babà chi altro
com’è che tu e tuoi compari ancora
scorrazzate impuniti per il mondo
Errore Adamo sbagli siete Voi
Voi voi sciocchi bottegai incauti
voi ci accogliete in casa ebbri di pecunia
di merce sempre compravenduta
intossicati da vapori dell’accrescimento
Voi vi lavate mani senza l’asportare
il sudicime in cui imbrattate l’animo
Noi Voi sapete siamo meno che pulviscolo
ormai incapaci d’occultarci solo armati
della vostra ossessione ad assembrarvi
della vostra riluttanza a ostacolarci
in fondo inermi ai vostri contrattacchi
da Voi chiamati virus neanche fossimo
come Arsenico veleno e niente altro
Ce ne andremo ce ne andremo
ritorneremo mansueti negli anfratti
noi non siamo ladri criminali grassatori
siamo messaggeri esattori incorruttibili
quando Natura ordina ed esige planetario
un equilibrio che esautori un tiranno.
Un caro saluto, Marco Sclarandis
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Molto bella, grazie Marco
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