Fiamme bituminose

L’inferno sulla terra. Proprio come ci si immagina che sia. Come altro si può definire un vasto, possente e indomabile incendio alimentato da forti venti e sostenuto da temperature fino a 32°C in un’area del pianeta dove normalmente in questo periodo dell’anno il termometro è ancora spesso e volentieri sotto lo zero?

Benvenuti all’inferno, o se preferite alle prove generali del futuro prossimo venturo (più prossimo che venturo, per come la vedo io), in cui uno dei protagonisti indiscussi e incontrastati sarà il fuoco. Benvenuti a Fort McMurray, nella provincia dell’Alberta, in Canada, moderno agglomerato urbano circondato da immense distese di foreste di conifere, ai margini di un’area caratterizzata, almeno fino ad ora, da un clima sub-artico. Dopo un inverno incredibilmente mite e secco e un inizio di primavera ancora all’insegna di un blocco meteorologico senza precedenti, con l’alta pressione che staziona ininterrottamente da gennaio e la poca neve caduta svanita da un pezzo, il film che si gira in questa anonima cittadina dell’ovest canadese manda in onda, non prevista dalla sceneggiatura, una scena apocalittica, con colonne di auto in coda lungo la Highway 63 avvolte dal fumo acre e dalle fiamme, e quasi 100.000 persone costrette ad evacuare, fuggendo dalle abitazioni e dalle infrastrutture distrutte dal fuoco. Migliaia di persone hanno perso la casa e tutto ciò che avevano, divenendo in qualche modo anch’esse inaspettatamente dei profughi climatici alla stregua delle popolazioni delle nazioni africane o mediorientali.

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Di fronte a questa tragedia e soprattutto alle dimensioni inimmaginabili dell’anomalia climatica che l’ha innescata, si deve abbandonare ogni pudore e gridare forte e chiaro che il Global Warming c’entra eccome, perché se è vero che un singolo evento estremo non può di regola essere correlato al riscaldamento globale per mezzo di una inequivocabile e lineare relazione causa-effetto, è vero altresì che non tutti gli eventi estremi hanno la stessa rilevanza. Per durata, intensità e drammaticità delle conseguenze scaturite, l’incredibile sequenza di situazioni meteorologiche anomale che ha investito il Canada occidentale in questi mesi fino al tragico epilogo di fuoco di Fort McMurray non può non essere ricondotta al sempre più preoccupante repentino cambiamento del clima terrestre alimentato dai gas serra, che continuano senza sosta ad essere sputati in atmosfera da un’umanità che ancora non si rende conto dello sconquasso che sta provocando alla biosfera e in definitiva a sé stessa.

Per avere un’idea delle assurde condizioni climatiche che hanno accompagnato l’incendio di Fort McMurray, è sufficiente guardare l’immagine qui sotto, che mostra l’anomalia di temperatura nel continente nordamericano nella giornata del 4 maggio. Nelle province occidentali del Canada si sono registrati aumenti fino a 20°C rispetto alla media: come si vede, le più accese tonalità di rosso previste dalle mappe non sono sufficienti a rappresentare un’alterazione di questa entità.

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Gli incendi boschivi sono sempre devastanti per l’ambiente, ma incendi di queste dimensioni e di questa durata (mentre scrivo le fiamme continuano a divampare e ad espandersi) che coinvolgono le foreste boreali situate a ridosso dell’Artico hanno conseguenze ancora peggiori perché, oltre a sottrarre carbonio dalla biomassa vegetale aggiungendone dell’altro in un’atmosfera con la CO2 già alle stelle, accelerano la fusione dei ghiacci attraverso la ricaduta a lunghe distanze del pulviscolo nero generato dalle fiamme: il ghiaccio reso più scuro dalle ceneri ha un minor potere riflettente della radiazione solare, pertanto assorbe più calore e fonde più rapidamente, alimentando la spirale di cambiamenti nefasti in cui siamo già avvolti e da cui è sempre più difficile uscire man mano che il tempo passa.

Ma torniamo in Alberta: in questa drammatica vicenda, c’è una coincidenza che suona beffarda, facendo quasi supporre che quanto accaduto non sia frutto del caso ma di un superiore Disegno che guida l’umanità nel suo cammino. Fort McMurray non è una località qualunque dell’Alberta, ma il centro di riferimento per lo sfruttamento delle sabbie bituminose, probabilmente la più sporca ed inquinante fra le fonti petrolifere perché non richiede trivellazioni del sottosuolo ma vaste miniere a cielo aperto. In più, tra tutte è quella con la più alta quantità di energia spesa per l’estrazione rispetto all’energia prodotta. E allora, per noi italiani che sin dai banchi di scuola ci siamo nutriti delle pittoresche metafore dantesche, non si può evitare di richiamare alla mente la legge del contrappasso: la scelta scellerata di distruggere l’ambiente bruciando petrolio che serve a produrre altro petrolio destinato a sua volta ad essere combusto e ad alterare il clima terrestre è ricaduta proprio sul territorio, già manomesso dai processi estrattivi, protagonista e almeno in parte artefice di quella scelta, sotto forma di combustione di ciò che di realmente prezioso era rimasto, ovvero le foreste, che avrebbero invece dovuto assorbire il carbonio dilapidato dall’estrazione. E come a voler vendicarsi, la natura stuprata ha pensato di accanirsi distruggendo per lo più i beni di coloro che traevano il proprio sostentamento dallo sfruttamento di quella risorsa (a Fort McMurray abitavano molti dipendenti delle industrie petrolifere impegnate nell’estrazione).

Come che sia, nessuno si illuda, anche ammesso che quanto è accaduto in Alberta sia frutto di un Disegno, a quanto pare, almeno dalle nostre parti, non è servito ad imparare la lezione: nel commentare l’accaduto, Il Sole 24 Ore si preoccupava dell’impatto sulle forniture di greggio e dell’aumento delle quotazioni dovuto allo stop della produzione (!), mentre altri quotidiani si sono limitati a pubblicare le foto dell’incendio a beneficio delle oscure pulsioni piromani che albergano nel subconscio di molti.

Tutto il resto non fa notizia, tanto meno i cambiamenti climatici. Del resto, perché preoccuparsi? Il problema, ammesso che sia tale, non è stato forse già risolto a Parigi da uno scrosciante, lungo applauso che ha accompagnato lo storico accordo siglato da quasi tutte le nazioni del mondo?

7 pensieri su “Fiamme bituminose

  1. Credo anche io che quando si da una notizia, si deve darla a tutto tondo, non una visione parziale.
    In modo olistico, sistemico.
    La civiltà occidentale ha tralasciato la visione globale, sostituendola con innumerevoli visioni specialistiche, parziali.
    .—-
    Grazie per l’articolo molto bello.

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  2. Good morning!
    Any chance of a translation of the article?
    I am Canadian living in BC and our local press is reticent to publish articles linking the FortMac fires to climate change. I’m always seeking thoughtful discourse to post in the void.
    Many thanks, much peace,
    Mary

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  3. Anche la temperatura media globale sembra fuori controllo, ha fatto un balzo repentino negli ultimi mesi. Che poi questo implichi siccità ed incendi è da vedere: il problema sperimentato ora in Canada potrebbe originare anche dalla anomalia periodica di El Nino, che si concluderà proprio in questi mesi.

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    • Da quanto si legge, sembra che l’influenza del Nino non sia così marcata. Dobbiamo solo sperare che non si inneschi una spirale incontrollata di azioni e retroazioni che amplificano il riscaldamento globale. Ma comunque vadano le cose, dobbiamo uscire il più in fretta possibile dalle fonti fossili.

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